Giuseppe Di Vagno

Giuseppe Di Vagno è il primo Deputato assassinato, ucciso dalla violenza fascista il 25 settembre 1921.

Nato a Conversano nel 1889 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, Giuseppe Di Vagno fu avviato agli studi nel ginnasio-liceo del Seminario di Conversano e poi a Roma all’Università La Sapienza, dove fu allievo di Enrico Ferri, maestro di diritto penale e socialista.

S’interessò alle questioni sociali, allo studio della Storia e abbracciò il Socialismo.

Tornato in Puglia nel 1912 con idee rivoluzionarie, di emancipazione e uguaglianza, lottò i gruppi oligarchici per la Democrazia.

Nel 1914 cacciò gli agrari dal Comune e assicurò un’amministrazione socialista alla Città di Conversano, lui stesso fu eletto nel Consiglio provinciale di Bari dove sedeva accanto a Gaetano SalveminiGiovanni ColellaGennaro Venisti e al pedagogista cattolico Giovanni Modugno.

Mentre la bufera s’abbatteva sull’Europa, lui si schierava contro la guerra e come sovversivo fu “internato” prima in Toscana poi in Sardegna.

Si battè contro la politica delle tariffe doganali, dietro le quali s’annidava il protezionismo dell’industria del nord i cui interessi si saldavano con quelli della grande proprietà terriera. Combattè contro tutto quello che frenava lo sviluppo del Mezzogiorno, la burocrazia delle amministrazioni locali, l’assenteismo della classe dirigente, l’inerzia dei politici, la mancanza di istruzione diffusa al cui sostegno fondò un ente di educazione popolare. Scrisse sui periodici socialisti, fra cui Puglia Rossa.

Nonostante attentati e minacce a mano armata, il 15 maggio del 1921 fu eletto alla Camera dei deputati nel collegio Bari-Foggia, con circa 75.000 voti, secondo degli eletti dopo Arturo Vella e prima di Giuseppe Di Vittorio, in quel momento in carcere.

Il fascismo incalzava e con esso la violenza, le squadracce nere colpivano ovunque indisturbate.

Subì diversi attentati a Noicattaro, a Conversano e a Noci, sfuggendo ad un agguato a Casamassima il 19 settembre solo una settimana prima dell’attentato finale, Di Vagno era consapevole che la sua condanna era stata decretata.

Il 24 settembre, in treno da Roma verso Mola di Bari per inaugurare la sezione socialista, fu raggiunto da un compagno che lo avvisò di quello che poteva accadere, ma Di Vagno decise di proseguire.

Iniziò il comizio con il pensiero di Abramo Lincoln: “La probabilità che noi possiamo cadere nella lotta non deve scoraggiarci dal sostenere una causa che noi crediamo giusta”.

Solo un’ora dopo, colpito alle spalle da tre colpi di pistola, confusi nel fumo nero di due bombe a mano esplose da un manipolo di mazzieri, resterà sul selciato.

Spirerà l’indomani nelle braccia della madre e della sua giovane sposa che era in attesa di dargli un figlio.

Aveva 32 anni, era nel fiore della giovinezza, grandi idee accompagnavano la sua azione quotidiana.

La storiografia ormai conviene che il suo assassinio fu generato dal fascismo agrario per imporre a Mussolini la rinuncia al patto di pacificazione e la svolta verso la violenza per il potere.

Giuseppe Di Vittorio raccolse l’ultimo respiro e su Puglia Rossa scrisse: « Povero Peppino! […] non s’abbatte. Singhiozza, lotta, respira affannosamente […] Poi un gemito lungo […] ed Egli non è più. Povero il nostro Gigante buono! […] sei sempre con noi, nelle nostre battaglie e nelle nostre vittorie: eri un Uomo, ora sei un mito.»

Al funerale di Di Vagno, svoltosi tra Bari e Conversano sotto un diluvio di pioggia, parteciparono migliaia di persone in lacrime.

Adelchi Baratono, a nome del Gruppo del Psi, il 24 novembre 1921 nell’Aula della Camera dei Deputati si rivolse ai parlamentari neo-fascisti con queste parole: “L’omicidio Di Vagno […] lungamente preparato, elaborato, portato a termine freddamente in un regime che si chiama democrazia e di ordine contro un rappresentante del Paese è […] cosa di cui dobbiamo vergognarci in nome di questa Italia che tutti i giorni […] gettate in un abisso di ignominia […]”. 

Il processo ai suoi assassini venne celebrato prima a Trani nel 1922 e poi, 26 anni più tardi, nel 1947 a fascismo battuto, presso la Corte di Assise di Potenza.

Gli assassini restarono impuniti due volte.

La prima volta per la complicità del regime che introdusse l’esimente dell’interesse nazionale per le bravate delle squadre fasciste; la seconda volta, la pacificazione ad ogni costo, suggestionerà la Corte di Cassazione fino a tradire la verità e ritenere preterintenzionale un delitto che invece fu volontario, come ricerche storiche recenti hanno determinato senz’appello, e che non avrebbe potuto essere amnistiato.

La sede di Bari del Comitato per le Onoranze e per il Monumento a Giuseppe Di Vagno – subito costituito – fu saccheggiata, come denunciò Giacomo Matteotti nel dettagliato studio pubblicato nel 1923, «Un anno di dominazione fascista», nel quale descrisse analiticamente gli atti di repressione e di violenza del regime consumati a Roma, nelle grandi città e nei più sperduti comuni del Mezzogiorno d’Italia.

Giuseppe Di Vagno, uomo d’azione, amava la piazza e sapeva parlare con i contadini ed i braccianti della Puglia: «Non vi è piazza della nostra provincia – dirà Eugenio Laricchiuta – in cui non abbia superbamente echeggiato la sua voce; adoratore delle folle nel loro dinamismo sociale, era soltanto lui che poteva soddisfare le nostre masse contadine».

Nel 1921 Alfredo Violante, suo primo biografo, lo definirà: «Un cervello borghese in un’anima socialista»Gaetano Arfè collocò la figura nella storia del movimento socialista italiano come «Riformista turatiano» e del delitto scrisse: «[…] maturò nell’azione politica di Mussolini, intessuta di delitti, scientificamente qualificabili come tali, contro l’Italia, contro l’umanità […] e nessuna revisione può cancellare il fatto che il fascismo teorizzò e praticò la violenza quale strumento di lotta politica: Di Vagno morì di pistola, Matteotti e i fratelli Rosselli di  pugnale, Giovanni Amendola e, con lui, il prete don Minzoni di manganello […]; il fascismo soppresse con appropriate leggi tutte le libertà […] e dette vita ad una repubblica fantasma che armò i suoi uomini, italiani contro italiani».

Bibliografia

Giovanni Capurso, La ghianda e la spiga. Giuseppe Di Vagno e le origini del fascismo, Progedit, Bari 2021.

Fulvio Colucci, Giuseppe Di Vagno martire socialista, Radici Future edizioni, 2021.

Mario Dilio, Di Vagno, Adriatica editrice, Bari, 1971.

Fulvio Mazza, Di Vagno, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 40, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991.

Il processo Di Vagno. Un delitto impunito dal fascismo alla democrazia, a cura di Ennio Corvaglia, Giulio Esposito, Vito Antonio Leuzzi, introduzione di Gianvito Mastroleo, prefazione di Simona Colarizi, Camera dei deputati, Roma, 2011.

Giuseppe Di Vagno (1889-1921). Documenti e Testimonianze 1921-2004, a cura di Vito Antonio Leuzzi – Guido Lorusso, prefazione di Gianvito Mastroleo, Camera dei deputati, Roma, 2004.

Giuseppe Di Vagno. Scritti e interventi (1914-1921), a cura di Guido Lorusso, prefazione di Vito Antonio Leuzzi, presentazione di Gianvito Mastroleo, Camera dei Deputati, Roma, 2006.

Giuseppe Di Vagno (1889-1921) e il socialismo italiano, a cura di Gianvito Mastroleo, Prefazione di Alessandro Leogrande, Piero Lacaita editore, Bari, 2012.

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